A testa alta

Le tesi del congresso repubblicano e il nuovo millennio

di Carlo Buffoli

E’ complicato conciliare idee, schieramenti, sofismi, novità politiche. Ma ora qualche decisione chiara si dovrà pur prendere, cari amici repubblicani, dopo 15 anni di oblio. Magari guardando la luna, non la punta del dito.

Se l’obiettivo è un progetto autonomo liberaldemocratico europeo si deve iniziare a leggere cosa c’è scritto nel programma dell’ELDR ed agire di conseguenza. Cioè partire da zero, perché è impensabile una alleanza con i due partiti principali italiani o una forza insieme a ciò che sta nascendo all’ombra del presidente della Camera.

La rumorosa presenza cattolica in tutti gli schieramenti è un cancro che, se non viene estirpato ora che ci si può riuscire, nessun partito – nessuno – potrà mai definirsi liberale e democratico. La scelta di PRI di allearsi (e non fondersi) con il PDL è stata – vista oggi – meno superficiale di quello che poteva apparire allora. Il piano B ci avrebbe regalato amarezze maggiori. Ma ora è il momento di alzare la testa e iniziare a pensare insieme. Perché esiste uno spazio politico per farlo. La prospettiva di un congresso ‘a tesi’ come quello annunciato, potrà dare qualche risultato se ciò che ne uscirà sarà una base programmatica per ricostruire il partito dal basso, con figure nuove, non me ne vogliano i ‘vecchi’ tra cui mi metto anche io, in grado di diffondere in modo credibile queste tesi. Ma se saranno tesi ‘repubblicane’ vere, adattate al nuovo millennio, nessuna alleanza sarà possibile con gli attuali partiti. A meno che furbizie ed ipocrisie prendano il sopravvento.

Temi etici, politica estera, politica economica e delle autonomie, giustizia e sicurezza (che si dovrebbe iniziare a trattare insieme); scuola (università e ricerca), sanità, salute e politiche ambientali (anche in questo caso unite), cultura e turismo (finalmente accorpate), dovranno avere un minimo comune denominatore: il pensiero liberale, la priorità della scienza, il coraggio della laicità.

Non è un paese liberale, ma l’Iran, quello in cui in molti ospedali pubblici medici obiettori negano alle donne farmaci legali. Dove il concetto di dolore è considerato una prova di fede, dove la dottrina religiosa supera per valore la legge dello Stato, dove i capi religiosi possono permettersi di intervenire direttamente nell’assemblea legislativa e nelle università.

Non è un paese civile quello in cui si parla di Occidente e si fanno affari con i dittatori libici e gli ‘stati canaglia’.

Non è un paese che guarda al futuro e al progresso quello in cui l’imposizione fiscale al 60% genera o l’impoverimento dell’imprenditore, o il fallimento, o un’evasione che equivale a una manovra economica ogni anno.

Non è un paese sicuro quello in cui i giudici liberano pluricondannati, pazzi e stupratori. Dove tutto diventa legale e giustificabile da parte degli stranieri che si stabiliscono sul territorio.

Non è un paese esemplare quello in cui il sottobosco politico gestisce potere e denaro profittando della propria posizione per arricchire se stesso e gli amici.

Non è un paese lungimirante quello in cui la sanità privata detta legge, in cui il finanziamento pubblico alla ricerca scientifica è miserabile, dove il trasporto commerciale è in balia di una intera categoria in grado di metterci in ginocchio, dove la politica energetica è acquistare energia dall’estero.

Non è un paese dignitoso quello che consente lo sviluppo di un turismo massificato, povero e aggressivo, che prende e non dà nulla. Con musei maltenuti e troppo economici.

Non è un paese unito quello in cui intere Regioni o città sfondano regolarmente i parametri economici, certe che poi lo stato centrale provvederà a coprire i buchi di bilancio. Regioni ricchissime di opportunità, di territori, di luoghi straordinari che ci sono invidiati in tutto il mondo, ma che vengono malamente gestiti non solo dalla criminalità e con il consenso medio della popolazione e della classe politica.

Non è un paese europeo quello che vediamo oggi, e da mille anni, dal nostro balcone di casa.

Non è un paese che potremo cambiare noi. Ma che forse potremo rendere un po’ più repubblicano se sapremo tornare ad avere un po’ di più – e senza paura – il coraggio delle nostre idee.